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RECENSIONE "I MIEI GENITORI NON HANNO FIGLI" DI MARCO MARSULLO

giovedì 16 aprile 2020


Oggi vi parlo di un romanzo che potrebbe tranquillamente essere catalogato fra quelli “autobiografici”.
Marco Marsullo ci porta a casa sua, all’interno di una famiglia che si è “rotta”.

Il protagonista, diciottenne, è figlio di genitori entrambi medici, separati, che, in quanto tali, desidererebbero, per il figlio, un percorso accademico ed un futuro di tutto rispetto. 
Il figlio, per non deludere le loro aspettative, imboccherà la strada dell’università, facoltà di Giurisprudenza, impegnandosi al massimo (per quanto riguarda l’esito… lascio a voi la lettura del libro!).
I genitori però, sembrano non avere fiducia nei confronti del figlio, non lo supportano e non lo valorizzano, anzi, forse fanno esattamente il contrario.

Troviamo una madre sofferente, che non ha ancora superato il dolore della separazione dal marito a causa di “un’altra”. Una donna infelice, sempre alla ricerca di nuove relazioni con uomini sbagliati. Una donna che paragona continuamente i figli dei colleghi di lavoro al suo, costringendolo a sentirsi sempre meno degli altri, mai abbastanza. Una madre che parla con il figlio tramite una chat di Whatsapp, evitando, se possibile, una chiacchierata vis a vis.

Troviamo poi un padre, completamente assorbito dalla sua passione per i cani e la caccia. Un padre che cerca continuamente l’approvazione del figlio, la sua ammirazione. Un padre che non riesce a parlare con il figlio, quasi gli mancasse il coraggio.
“Non per forza le cose dolorose nascondono conseguenze negative.”

Il protagonista, adolescente di gran cuore, prova molta tenerezza per quel padre così solo, così silenzioso, così assente; quel padre che non gli manca e che non sente la necessità di avere vicino.
Allo stesso tempo il suo più grande desiderio è quello di vedere di nuovo felice la madre, ma felice davvero, lontana dalla spasmodica ricerca di un ipotetico Nirvana tramite sedute di yoga e meditazione che contribuiscono solo a svuotarle il portafoglio.

Ammetto che la lettura di questo libro è stata a tratti dolorosa. Da figlia di genitori separati più volte nel corso del romanzo mi sono immedesimata nel protagonista. 
Ho sentito sulla mia pelle le stesse sensazioni: la frustrazione, la solitudine, l’incomprensione. 
Ho provato molta tenerezza per questo giovane, solo alla scoperta del mondo; diviso fra una madre ancora troppo ragazzina ed un padre annegato dalle sue passioni.

Un romanzo che parla di dolore, di abbandono, di quanto sia difficile a volte parlare con i propri genitori, di quante volte siamo costretti a scontrarci, gli uni con gli altri. 
Un libro che andrebbe letto due volte: una, seguendo il punto di vista del protagonista, quindi “da figli”, ed una mettendosi nei panni dei genitori.

Perché...
“Alla fine la felicità sta tutta nell’uscire vivo dalle cose che non ti ammazzano”



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