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RECENSIONE "BLU" DI GIORGIA TRIBUIANI

martedì 30 marzo 2021


“Blu, riapri gli occhi. Chiudili. Aprili e chiudili: tre. Aprili e chiudili: quattro. Aprili e chiudili, cinque. Non vorrai che accada qualcosa di brutto – aprili e chiudili, sei – a tua madre: non vorrai che tua madre – aprili e chiudili, sette – finisca al manicomio.”

 

“Blu” di Giorgia Tribuiani, edito Fazi Editore è la storia di Blu, un’anima tormentata, incompresa dai suoi coetanei, solitaria.

Lo è sempre stata, sin da bambina, quando ai suoi compleanni partecipavano i bambini del condominio per fare numero o quando a scuola il banco accanto al suo rimaneva sempre, costantemente vuoto.

 

“Oh Blu: che pena, hai diciassette anni e mezzo e nessuno che ti si sieda accanto per contare quante volte, in un’ora, puoi cancellare il tuo volto.”

 

Parto subito parlandovi delle sensazioni che la penna di Giorgia è riuscita a trasmettermi.

La lettura di questo libro è avvenuta in una sorta di apnea perenne, un po' come succede quando si legge un thriller, con i sensi sempre all’erta.

Un’apnea positiva, perché “Blu” è un romanzo-puzzle, composto da un mix di introspezione, amore, ossessione, solitudine e dolore in parti uguali.

 

La protagonista, Ginevra, detta anche Blu, ha diciassette anni, è una ragazza un po' bambina, ma a volte anche già donna.

È un’appassionata di arte; lei disegna, lo fa continuamente, ma poi cancella, e ricomincia, perché il disegno perfetto non l’ha ancora fatto.

 

Un giorno Blu incontra Dora, e lo fa durante un’esibizione di performance art di quest’ultima, nuda, dentro ad una vasca da bagno. E da qui tutto diventa ossessione.

 

Blu è ossessionata dalla figura di Dora, dalla magia che il suo sguardo ed il suo respiro sprigionano. La cerca sui social, freme quando il pallino verde indica che è online, le vuole scrivere, le scrive, vuole incontrarla di nuovo, vuole studiarla.

Lei che è sempre stata dura con sé stessa, lei che ha paura di sé stessa, che spesso si sente in colpa per tutti quei pensieri che le passano per la testa e per quel senso di godimento che prova davanti al dolore altrui.

 

“Chi si infila nelle ferite per creare dipendenza è una droga o una malattia, e in ambi i casi è il male.”

 

“Blu” è una lettura graffiante, scomoda, se vogliamo fastidiosa. Non è un libro semplice. A mio avviso, è un libro destinato a chi vuole provare emozioni forti e vere nel corso della lettura, a chi si vuole mettere a nudo, a chi ha voglia di capire realmente sé stesso. Ginevrablu, a fine lettura, vi lascerà un profondo senso di confusione: le sue riflessioni e le sue ossessioni non vi lasceranno scampo.


RECENSIONE "IL GATTO CON GLI STIVALI - LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO" DI CHARLES PERRAULT

mercoledì 24 marzo 2021

 

Gli Eletti

Si tratta di una collana della casa editrice Alter Ego dedicata ai classici ed alla riscoperta di alcuni autori attraverso i loro romanzi più celebri ma anche quelli meno conosciuti. Il valore aggiunto di questa collana è il prezzo: € 3,90 per avere, in formato tascabile ed a portata di mano, i capolavori del passato.

Oggi vi parlo de “Il gatto con gli stivali e La bella addormentata nel bosco” di Charles Perrault, grandi classici riproposti nella loro forma originale.

Ho letto questo piccolo libro insieme ai miei bimbi; quando si parla di fiabe loro sono sempre in prima fila, non importa nemmeno ci siano delle figure, a loro piace ascoltare.

 

“Il gatto con gli stivali”


Il gatto in questione è l’eredità che il mugnaio lascia ad uno dei suoi tre figli. Apparentemente quella meno redditizia, considerato che ad un figlio ha lasciato il mulino mentre all’altro un asino. Il gatto invece si rivelerà la cosa migliore che potesse capitare al giovane. Perché il gatto rappresenta l’intelligenza, il saper mettere a frutto le proprie conoscenze fino a far diventare il protagonista Marchese di Carabà. Un inno alla felicità lontano da artifizi e materialismi.

 

“La bella addormentata nel bosco”


Aurora, tanto desiderata dai genitori, nel giorno della festa organizzata in suo onore, viene colpita da un maleficio: nel giorno del suo 16 compleanno morirà, punta da un fuso. Grazie ad un incantesimo aggiuntivo la morte verrà trasformata in un sonno lungo 100 anni, interrotto dall’arrivo del principe. Una fiaba che insegna a vedere il buono anche nei momenti più brutti.

RECENSIONE "L'INGANNO DELLE BUONE AZIONI" DI KILEY REID

giovedì 18 marzo 2021

 

“Quella sera, quando arrivò la telefonata di Mrs. Chamberlain, Emira Tucker riuscì a sentire solo le parole <… portare Briar da qualche parte…> e <… ti pagherò il doppio>.

Si trovava in un appartamento affollato insieme alle amiche Zara, Josefa e Shaunie, esattamente davanti a una ragazza che stava urlando: <Questa è la mia canzone!>. Era un sabato sera di settembre e mancava poco più di un’ora al ventiseiesimo compleanno di Shaunie. Emira alzò il volume del cellulare e pregò Mrs Chamberlain di ripeterle quello che aveva appena detto.

 

Il 25 febbraio è uscito per Garzanti “L’inganno delle buone azioni”, esordio dell’americana Kiley Reid, fortemente acclamato dai maggiori quotidiani americani e candidato al Booker Prize 2020.

 

Un romanzo che parla di razzismo, dalla copertina semplice ma profondamente evocativa. Ma non solo, perché si parla anche di relazioni, di affetti, dell’essere genitori e di quanta differenza ci sia fra l’essere privilegiati e non esserlo.

 

E di questo ne è profondamente conscia Alix Chamberlain, moglie di Peter, noto conduttore televisivo e donna di successo, che nel suo blog insegna alle persone a fidarsi di sé stesse ed a rincorrere la felicità, soprattutto non dimenticandosi mai di aiutare chi è meno fortunato di loro.

Proprio per questo Alix sceglie Emira Tucker, giovane ragazza di colore, come babysitter della primogenita Briar. E lo fa per dimostrare che nonostante la sua posizione di privilegiata, non nutre nessun tipo di pregiudizio nei confronti di chi non è come lei.

 

Una sera, dopo uno spiacevole episodio avvenuto a casa dei Chamberlain, Emira viene chiamata per potersi occupare di Briar. Lei si precipita, ligia al dovere, a casa dei Chamberlain. Ma lo fa vestita da sera, minigonna e tacchi, come si confà ad una ragazza che ha appena lasciato le amiche a divertirsi ad una festa di compleanno. Un abbigliamento che non è sicuramente consono ad una babysitter, questo è quello che pensano i clienti del supermercato nel quale Emira porta Briar in attesa di poter ritornare a casa.

Se poi aggiungiamo il fatto che il colore della sua pelle non è lo stesso di quello della piccola Briar, il gioco è fatto.

Emira viene accusata di aver rapito la bambina, e solo l’intervento di Mr. Chamberlain riuscirà a calmare le acque. Tutto l’episodio viene ripreso da Kelley, un ragazzo bianco che incontreremo più volte nel corso del romanzo, cliente del supermercato, che suggerisce ad Emira di sporgere denuncia per l’abuso che è stata costretta a subire.

Emira però si rifiuta perché sa che il colore della sua pelle sarà sempre fonte di complicazioni ed ingiustizie.

Sarebbe successa la stessa cosa se la babysitter fosse stata bianca?

 

Alix è profondamente scossa dall’accaduto e cerca di risanare quella frattura, quel dolore ingiustamente inflitto ad Emira, con l’elargizione di compensi più alti ed un’attenzione mai avuta nei suoi confronti, se vogliamo persino esagerata.

 

“Alix cercava di non dare troppo peso a momenti del genere, eppure le rimanevano chissà come incastrati fra il cuore e le orecchie”

 

Da questo momento in poi scopriremo una Alix diversa, piena di buone intenzioni ma anche di tanti segreti.

Segreti che in un modo o nell’altro troveranno il modo di venire alla luce.

 

Una lettura intensa, forte e dalla tematica attuale come quella del razzismo, che in America, ma oserei dire un po' in tutto il mondo, è molto sentito. L’autrice è riuscita a costruire una trama che al suo interno mescola verità ed intrighi, e, attraverso una scrittura semplice e diretta, trasporta il lettore sino alla fine, lasciandolo a bocca aperta.

 

Un libro che consiglio a chi crede nelle buone azioni, quelle vere, che si fanno con il cuore.


RECENSIONE "MAMMA CHE ANSIA!" DI RACHEL BRIAN

lunedì 15 marzo 2021


ANSIA
“Stato di agitazione, di forte apprensione, dovuto a timore, incertezza, attesa di qualcosa.”

 

Alzo subito la mano: io sono una persona fortemente ansiosa. Da quando sono mamma ancora di più.

 

La lettura di questo libro “Mamma che ansia!” edito Deagostini mi ha aperto gli occhi e soprattutto mi ha dato la possibilità di vedere le cose sotto un altro aspetto, raccontandomi molto di più di quanto conoscessi sull’argomento.

 

Perché è vero che l’ansia è un sentimento, esattamente come lo sono la preoccupazione, il nervosismo o la paura ma è altrettanto vero che siamo noi che dobbiamo imparare a comprenderla, accettarla e contrastarla.

Da quando fa capolino nelle nostre giornate magari semplicemente per spronarci a dare il meglio di noi stessi alle sue molteplici manifestazioni anche tramite sensazioni fisiche.

 

Perché è importante riconoscerla? Perché noi siamo molto più importanti di qualsiasi altra cosa. Prenderci cura di noi stessi, fare le cose che ci fanno stare bene, coccolarci… ecco tutto questo ci rilassa e rilassa anche il nostro cervello.

 

Ed è esattamente in questo momento che l’ansia sparisce, lasciando spazio ad una sensazione di benessere davvero rinfrancante.

 

Un libro che, grazie ai suoi divertenti e semplici disegni a fumetti, è in grado di strappare più di un sorriso.

Ah, ho notato anche un’altra cosa: i fumetti hanno una predominanza di colore giallo. Lo sapete che significato ha questo colore? Gioia, allegria, spensieratezza e buonumore… e non credo sia stato scelto a caso!


RECENSIONE "IO RESTO" DI VALENTINA MACCHIARULO

mercoledì 10 marzo 2021

 

Lei.

 

“Che fosse una donna passionale ne sono sempre stato consapevole, ma oggi ha davvero qualcosa di diverso dal solito: una parte del suo essere, rimasta nel buio per troppo tempo, è riuscita finalmente a evadere, a trovare spazio tra la folla delle sue personalità e a mostrarsi con determinazione, come mai aveva fatto prima.”

 

Una “Lei” nel quale possiamo trovare un pezzo di noi, nella quale possiamo totalmente immedesimarci oppure trovare totalmente estranea.

Una “Lei” raccontata dai sentimenti e dai ricordi provati dai quattro protagonisti di questa storia, nella spasmodica attesa del suo arrivo, riuniti in un salone.

Perché Lei non è ancora arrivata; è in libreria, per la presentazione del suo primo romanzo, scritto, soprattutto, grazie al prezioso aiuto dei quattro.

 

Emil, la sua guida, colui che è riuscito a portarla sempre sulla via più equilibrata, quella che sarebbe stata in grado di farla sentire pienamente sé stessa; il signor Tim, la spalla sulla quale sono state riversate preoccupazioni e paure; Tati, l’amica inseparabile, la sua coscienza, colei che le ha costantemente ricordato di essere una DONNA e non solo una moglie e una mamma; Donna Melina, la sua confidente, il cassetto nel quale custodire la propria vita; Nanè, la piccola bambina che con la sua ingenuità e curiosità l’ha aiutata a gioire delle piccole cose, proprio come sanno fare i bambini.

 

È grazie ad ognuno di loro se Lei è riuscita a crescere ed a trovare un equilibrio nonostante le molteplici rinunce che ha dovuto fare,

 

“Bisognerebbe imparare presto a capire che a definire una strada difficile o faticosa da percorrere non è la distanza dalla sua meta, né le sue salite o i passaggi più ripidi e irti. Il suo grado di difficoltà è dato dallo stato d’animo con cui la affrontiamo.”

 

se è riuscita a sentirsi di nuovo femmina, valorizzando il proprio corpo e la propria anima

 

“Era così concentrata a cercare amore dagli altri da essersi dimenticata che lei stessa è amore, così pura e bella, senza costruzioni alcune e senza artefici di bellezza, essendo semplicemente lei.”

 

e anche se ha smesso di avere paura del trascorrere inesorabile del tempo, e quello, beh, fa paura un po' a tutti.

 

“Ho lavorato per tutta la vita così tanto su me stessa che ho perso di vista il tempo. Sempre alla ricerca di un modo particolare di essere, di una femminilità che rubasse verità agli anni, di una superficialità che mi rendesse più semplice le varie conquiste.”

 

Ed è grazie a loro se sceglie di restare.

 

“Resto, perché io non so andare via senza far rumore, senza causare un brivido”

 

In questo libro c’è un concentrato di vita così potente da togliere il fiato. Le parole scivolano via veloci, non per essere inghiottite ma per attaccarsi al cuore.

Valentina ha una mano magica, ciò che prende forma dai suoi pensieri è un regalo, un regalo che non si può non comprendere e non apprezzare.

 

Alla fine di questa lettura mi sono sentita totalmente piena di vita, arricchita sotto tutti i punti di vista.

Ho percepito un forte desiderio di Valentina di raccontarsi, attraverso queste pagine, e sono state molte le volte in cui mi sono sentita anche io Lei.

 

Io resto.

 

La frase più bella che ci si possa sentir dire.

Perché suona come una certezza: nel corso della vita ho attraversato tempeste, visto arcobaleni, riso, pianto, urlato e baciato, ma, guardandomi indietro capisco che, restare e guardare avanti, è l’unica cosa da fare.


RECENSIONE "L'ARMINUTA" DI DONATELLA DI PIETRANTONIO

domenica 7 marzo 2021

 

“A tredici anni non conoscevo più l’altra mia madre. Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse. Sul pianerottolo mi ha accolto l’odore di fritto recente e un’attesa. La porta non voleva aprirsi, qualcuno dall’interno la scuoteva senza parole e armeggiava con la serratura. Ho guardato un ragno dimenarsi nel vuoto, appeso all’estremità del suo filo. Dopo lo scatto metallico è comparsa una bambina con le trecce allentate, vecchie di qualche giorno. era mia sorella, ma non l’avevo mai vista. Ha scostato l’anta per farmi entrare, tenendomi addosso gli occhi pungenti. Ci somigliavamo allora, più che da adulte.”

 

Questo è l’incipit de “L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio, romanzo ambientato in un Abruzzo di fine anni ’70 e inizi anni ’80. E' la storia di una ragazzina di tredici anni riaffidata alla famiglia originaria dopo anni trascorsi con chi, per lei, era la sua vera famiglia. Un distacco senza troppi convenevoli, unica compagna di viaggio una valigia, piena di vestiti e di tanti interrogativi.

 

“Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.”                                                                                                                                                                                                                              

Al suo arrivo, ad accoglierla, Adriana, sua sorella, presenza che si rivelerà importante anzi, fondamentale, nel corso della sua vita.

 

“Ero l’Arminuta, la ritornata. Non conoscevo quasi nessuno ancora, ma loro ne sapevano più di me sul mio conto, avevano sentito le chiacchiere degli adulti.”

 

È una storia dolorosa, pungente, brutale. E non potrebbe essere altrimenti perché quello di cui si parla è un doppio abbandono, il passaggio da una vita fatta di poche mancanze ad una costellata di litigi fra fratelli e condivisioni.

 

“Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia mia madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro.”

 

Una narrazione cruda ma allo stesso tempo delicata, mai esagerata. L’autrice ha la capacità di dire il giusto, senza eccedere nelle descrizioni ma lasciando intuire al lettore il giusto messaggio.

Un libro che mi sento di consigliare a chi, almeno una volta nella vita, si è sentito confuso e spaesato.

 

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