Può un libro,
una volta dopo essere stato finito, chiuso ed appoggiato sul comodino, continuare
a scorrerti nelle vene?
Può un libro
costringerti a riflettere sul tema della morte, della menzogna, della famiglia
in maniera così forte e prepotente?
La risposta è
sì.
La risposta è “Il
grande me” di Anna Giurickovic Dato, edito Fazi ed uscito il 10 settembre.
Un libro che
parla di dolore, in tutti i suoi gradi.
“Dalle otto del
mattino alle sette di sera io non provo niente. Poi quando termina l’orario di
visita, mi si abbatte addosso tutta la giornata, quelle passate e quelle che verranno”
Simone è un
padre malato, prossimo alla morte. I figli, ognuno con la propria vita,
costruita e condotta lontano da lui, rimasto solo nella grande Milano, torneranno
a casa per sostenerlo nell’ultimo periodo della sua vita.
“Se ci siamo
stati sempre o meno, male o bene, poco importa, ora, perché non è questa la
resa dei conti, è la sola occasione che ci resta”
La storia,
raccontata dalla figlia Carla, ci accompagna nel corso delle loro vite, pagina
dopo pagina, attraverso menzogne, ricordi, cose dette e non dette, sensazioni
ed emozioni, fino ad arrivare a quel segreto da anni custodito nel cuore di
Simone. Un segreto che, una volta svelato, cambierà il senso della loro vita o
regalerà loro un valore aggiunto?
Nel corso della
lettura ho percepito l’infinito amore di Carla nei confronti del padre. Il suo
fortissimo desiderio di costruire tutto il passato non vissuto con un uomo che non
ha mai avuto davvero.
“E lui può
essere abbracciato da un’altra per mezzo delle mie braccia. Che importa che
siano le mie se io, quando avrei potuto, non l’ho mai stretto davvero?”
Mi sono posta più
e più volte questa domanda: “E se non avessi più tempo?”
Fagocitata dalla
routine quotidiana, lavoro, scuola, bambini, casa, sono sicura di non “buttare
via il mio tempo” in un qualche modo? Quanti di voi se lo sono mai chiesto?
Magari facendo cose
che potremmo tranquillamente fare in altri momenti e che ci impediscono di
assaporare e dare il giusto valore a quei momenti che invece, una volta passati,
non torneranno più.
In questo
romanzo si parla di malattia, un tema che spaventa perché della malattia, a
volte, si può essere solo spettatori. Solo spettatori è un tantino riduttivo.
Bisogna improvvisarsi attori perché fingere che vada tutto bene, per il bene
dei nostri cari, diventa quasi un lavoro, sorridere quando si vorrebbe solo
piangere, convincerli che esistono altre cure alternative quando invece la verità
è una sola, ed i medici ce lo hanno detto più volte, senza mezzi termini.
Non mi resta che consigliarvi di
allacciare le cinture e partire per questo viaggio.
La scrittura intima e potente di
Anna e il suo stile delicato ma rude, dolce ma amaro, vi stropicceranno anima e
corpo.
Ma sono convinta ne uscirete totalmente
arricchiti.
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