Fin dove
ti spingeresti per avere successo?
Esiste
qualcosa di più doloroso della paura?
Esiste una
libertà al di fuori della gabbia in cui sei costretto a vivere?
“Muori per
me” di Elisabetta Cametti, edito Piemme, è un thriller con la T maiuscola.
La sua
trama intrigante e soprattutto contemporanea è riuscita nell’intento di tenermi
incollata alle pagine fino a notte fonda e mi ha spinto a pormi domande alle
quali sono riuscita a dare una risposta solo alla fine della lettura.
Al centro
di questo romanzo ci sono le donne e le loro lotte per mantenere dignità ed
integrità morale e per raggiungere la tanto agognata libertà.
“Quel giorno non sono morta, ma ho smesso
di vivere per sopravvivere”.
Contrapposte
a loro ci sono gli uomini, meglio se potenti e molto ricchi, all’apparenza
disinvolti e ben educati ma dai risvolti grotteschi.
Tutto questo
sullo sfondo di un mondo virtuale, quello dei social network, che tanto
alterano la realtà trasformandola in un universo parallelo inesistente.
Ci troviamo
nella Milano da bere, circondati dai suoi grattacieli e dalle sue luminarie. Ginevra
Puccini è la fashion blogger numero uno al mondo, moglie di Volfango Vinciguerra,
capo, insieme ai fratelli Vanessa e Vittorio, dell’omonima casa di moda, la 3V
Fashion Group. I Vinciguerra vivono di perfidia e arroganza. Il loro unico
interesse è il raggiungimento del massimo potere e per far ciò non sono soliti guardare
in faccia a niente e nessuno.
“Era la
prova di come correttezza, scrupoli e rispetto frenassero l’ascesa. Mentre
determinazione e prepotenza conducevano dritto al successo.”
Leggeremo di
party conditi da fiumi di alcol e droga, nei quali saranno coinvolte ragazzine
bramose di successo, smaniose di diventare qualcuno, di avere qualche migliaio
di follower e di like, che non avranno il coraggio di dire di no, diventando a
loro volta vittime del sistema.
“La crudeltà è la madre di tutti i
mali. Se ti tocca, non solo ti cambia: ti trasforma.”
È molto
importante il messaggio che Elisabetta lancia all’interno delle pagine di
questo romanzo: la potenza dei social network e la forza della eco che riescono
a scatenare.
Elisabetta
costruisce una trama superba miscelando ingredienti che rendono questo thriller
un capolavoro: troveremo omicidi, sparizioni, scene di violenza, ma, anche negli
episodi più crudi la scrittura di Elisabetta saprà essere diretta e tagliente pur
non perdendo la sensibilità e la delicatezza che i temi trattati meritano.
Perché si
parla di famiglia, di rapporto fra fratelli e sorelle, di maltrattamento degli
animali, di violenza, abusi, di redenzione e di coraggio.
“Abituarsi
al rumore significa permettergli di entrare a far parte della nostra
quotidianità. Significa convivere con una tossina, che non si ferma ai timpani,
ma penetra e scava a fondo. Ci distrae, ci innervosisce. Continua a martellarci
dentro, coprendo ogni altra voce, anche quella dei pensieri. E come va a
finire? Che per non ascoltare il rumore ci facciamo sordi e non sentiamo più.
Poco alla volta diventiamo indifferenti. Insensibili. La
cura è il silenzio. Un attimo di silenzio ha un potere rigenerante immenso.
Quando fuori di noi tutto tace, ricominciano a parlare i sensi. E recuperiamo
l’equilibrio.”
È la prima volta che affronto la
scrittura di Elisabetta e, ad oggi, mi sto chiedendo: “Ma come ho fatto ad
arrivare a 36 anni senza aver letto nulla di suo?”
Ergo: corro a recuperare gli altri
romanzi!
Buona lettura
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